Corriere della Sera
«Privatizzare e semplificare: ecco le ricette di noi liberali»
MILANO - La privatizzazione della Rai. Oppure l’abolizione in busta paga delle trattenute sindacali.
Dopo una rivoluzione fallita (quella di Berlusconi) e una promessa (quella di Renzi) essere liberali oggi
vuol dire anche questo. Vincenzo Olita, un passato nel Pri, è il direttore di Società Libera, uno dei think tank di politica e cultura liberale che ha organizzato per stamani a Roma (all’istituto Luigi Sturzo) una convention per riunire le tante sigle e le tantissime associazioni d’area. Padri nobili e nuove leve.
Olita, volete rifare il Pli?
«Tutt’altro. L’iniziativa di oggi nasce con due premesse. La prima è proprio quella elettorale. Dobbiamo abbandonare i velleitarismi e ammettere che oggi non ci sono le condizioni per far nascere una
forza capace di superare i quorum delle varie competizioni elettorali».
La seconda?
«Basta dividersi tra chi tifa per il centrodestra e chi per il centrosinistra. Ripartiamo da chi siamo, dai
nostri programmi. E facciamo in modo che le nostre idee tornino alla ribalta della politica vera. Una su
tutte: l’individuo prima dello Stato. Cinque o sei punti, non di più. Intorno ai quali ritrovarci tutti».
Privatizzazioni. E poi?
«Il sistema dell’informazione, il tema della giustizia e legalità, la revisione della Costituzione, il potere delle
banche e delle Fondazioni. Ma vogliamo ragionare anche di proposte semplici semplici, di quelle capaci
d’incidere nella vita di tutti i giorni dei cittadini. Ne dico una: l’elezione diretta dei capi d’istituto. I presidi
non vanno scelti dall’alto, ma dallo stesso corpo insegnante, dagli studenti e dai genitori».
Matteo Renzi può essere una speranza anche per il mondo liberale?
«No, non credo. E sa perché? Perché la politica non si fa per approssimazione. E questo slogan della politica del fare è un bluff che ci trasciniamo da più di un ventennio».
_________________
Il Denaro
Democrazia e Liberalismo: se la Democrazia rappresenta l’hardware – le condizioni necessarie – non avremo una società aperta senza il software, ovvero il Liberalismo che pone al centro la persona e la sua libertà. In tempi di confusione ideologica e crisi economica, mentre fioriscono nuovi partiti che soffiano sulla paura delle persone ed improbabili guru usano con forza ed efficacia le armi retoriche della demagogia, chi si ispira alle idee liberali sarebbe opportuno tornasse ai suoi fondamentali. In particolare per spiegare che tendere a società aperte e libere è la migliore tutela degli interessi dei cittadini, o ancor meglio delle famiglie e degli individui più deboli, ovvero meno abbienti.Infatti solo attraverso la fine del sistema castale che domina in Italia, dalle farmacie alle università, solo attraverso l’esaltazione dei meriti dell’individuo, in quanto singolo e non in quanto figlio di…, solo attraverso una politica di diminuzione della spesa pubblica e di liberalizzazioni ad ampio raggio, l’Italia potrà finalmente elevarsi da quella situazione precaria, che, soprattutto al Sud fa sì che essa si distanzi dal resto delle democrazie europee ed occidentali. La civiltà e la prosperità dell’Occidente democratico si fondano da secoli sulle istanze di libertà individuale, cioè sulla tutela dei diritti della persona nei confronti dell’invadenza dello stato, e nel riconoscimento della fertile dinamica dell’economia di mercato. Il declino non è mai un destino ineludibile, come dimostrano la storia plurisecolare italiana e le vicende di Paesi europei che negli ultimi decenni hanno saputo ritrovare dinamismo, innovazione e sviluppo.
Il Denaro ne parla con Vincenzo Olita, direttore di Società Libera.
Friedrich August von Hayek diceva: ı”Dobbiamo ridare alla costruzione della società libera il senso di un’avventura intellettuale, di un atto di coraggio. Ciò che ci manca è una utopia liberale, un programma che sembri un radicalismo liberale che non risparmi l’arroganza del potere…”. Su questo splendido auspicio è nata Società Libera: Quanto può dirsi soddisfacente il cammino svolto sino ad ora? E nel nostro Sud che segnali raccogliamo?
Ti ringrazio per aver formulato questa domanda, richiamando una monumentale frase di von Hayek che Società Libera, sin dalla sua costituzione, ha utilizzato come icona del suo modo di essere ed operare. Ad Hayek tutti noi dobbiamo la rinascita del movimento liberale, di un moderno liberalismo che individua nella libertà individuale il suo caposaldo, The constitution of liberty (La società libera) dovrebbe essere diffuso e consultato particolarmente dalle nuove generazioni. Riguardo all’attività che abbiamo svolto credo che in termini di semina sia stata copiosa, per il raccolto meno, sinceramente molto meno. Siamo stati presenti nel Mezzogiorno con numerose iniziative e, con cognizione di causa, voglio dire che l’ordine spontaneo di una società libera, richiamato costantemente da Hayek, qui trova molteplici ostacoli, non riconducibili solo alla
pochezza di una classe politica e dirigente, comune del resto al Paese nel suo complesso.
La associazione “Società Libera” considera essenziali per un efficace sviluppo della comunità i tre parametri che hanno contraddistinto il cammino della Democrazia e del Liberalismo: libertà, responsabilità individuale, uguaglianza delle opportunità. In Italia questo approccio quanto è condiviso? E come contribuiscono le Marce per i popoli oppressi organizzate?
I parametri che richiami, comunemente, vengono ricondotti solo a dolci e suadenti parole, molto utilizzate dalla politica e da commentatori troppo distratti. Vi è sempre una totale identificazione tra Democrazia e Liberalismo, concetti e termini utilizzati in maniera interscambiabile. A me piace dire che se la Democrazia rappresenta l’hardware, cioè le condizioni necessarie e indispensabili, non avremo una società aperta se non immettiamo anche del software, rappresentato appunto dal liberalismo e dalla sua concezione che mette al primo posto la persona e la libertà individuale. La parola libertà, poi, è tra le più usate e abusate; per il liberalismo la Libertà attiene essenzialmente all’incremento delle condizioni utili a favorire le scelte di ogni individuo. Da qui il nostro contrasto ad ogni forma di monopolio e l’estrema vigilanza verso ogni tipo di potere. Sulla Libertà ritengo che i liberali siano debitori di autocritica, per troppo tempo sono stati interessati alla libertà domestica, trascurando colpevolmente l’impegno per la salvaguardia dei Diritti Umani messi in discussione in tante aree del mondo. Se ci sta a cuore, con convinzione, la libertà nel nostro Paese non possiamo e non dobbiamo ignorare che in un quarto dei Paesi presenti all’ONU i diritti naturali sono calpestati. Come Società Libera da sette anni organizziamo in ottobre a Roma, e in altre tre
capitali europee, la Marcia Internazionale per la Libertà dei Popoli e delle Minorane oppresse, è un
segnale e una testimonianza, per il Paese e gli ambienti liberali, utile per una compiuta percezione e
pratica del liberalismo.
La difesa della libertà individuale è ciò che caratterizza in primis il Liberalismo; per chi ritiene che si abbia una politica liberale ogni qualvolta venga presa una misura che ampli la possibilità di scelta dell’individuo quanto siamo indietro in Italia? E come potremmo promuovere tale sensibilità in futuro?
Dahrendorf ci ha indicato che è importante riflettere su cosa una società liberale richiede per essere
sostanzialmente tale. Allora, se la peculiarità della società liberale è quella di favorire l’incremento
delle chances nella vita degli individui, occorre dire che la società italiana è ben lontana da questi
presupposti. Quando nell’89 cadde il muro di Berlino, entusiasti per il futuro, immaginammo
l’affermazione di società aperte e libere, oggi, anche a causa di certe pratiche insensate del
capitalismo, ci ritroviamo ad invocare soluzioni stataliste ai problemi del Paese. Fondamentalmente
facciamo fatica ad archiviare reminiscenze totalitarie e, lo dico da liberale cattolico, una cultura
cattocomunista che per troppi anni ha imperversato. Vi è la necessità di superare il grave deficit di
cultura liberale lavorando innanzi tutto sul versante culturale, offrendo, contemporaneamente,
coerenti indicazioni fruibili dall’opinione pubblica e, nello stesso tempo, marcando le distanze da
rivoluzioni liberali fallite nel passato e promesse per il futuro.
Spesso i concetti liberali si rivelano contro intuitivi: Come spiegare che è proprio l’economia
di mercato il modo più efficace per difendere la più diffusa proprietà privata dei mezzi di
produzione e fare in modo che cresca.
Mi sembra di capire che per contro intuitivi tu voglia intendere posizioni politicamente scorrette nel
senso che non seguono la vulgata corrente quindi di minoranza e controcorrente. Dicevo di alcune
cattive pratiche del capitalismo che hanno contribuito al risorgere dello statalismo, all’onnipresenza
del potere statale, alla popolarità che oggi godono, soprattutto in Italia, analisi e giudizi che fanno
risalire al liberalismo, e quindi al libero mercato, la totale responsabilità della crisi economicafinanziaria
sviluppatasi in occidente a partire dal 2008. Naturalmente, nulla di più distorcente specie
se si sottace la responsabilità della sfera politica sia nell’origine che nella gestione successiva del
ciclo economico in particolare da parte delle cancellerie e degli organismi europei. In effetti, non vi
è traccia nel liberalismo economico di tesi delineanti un’economia di mercato senza regole, lo
stesso Hayek ebbe a dire “nessun economista stimato ha mai difeso a spada tratta il principio del
laisser faire in senso letterale”. Credo che la teoria vichiana possa essere di supporto anche allo
sviluppo di questo ragionamento: le cattive pratiche non investono solo un certo tipo di capitalismo,
anche l’immagine e quindi la percezione dello Stato è soggetta a contraddizioni e criticità. Nel
Paese va aumentando la dicotomia tra affermazioni di principio (il bene comune, la ridistribuzione
del reddito e via così) e strumenti utilizzati, tra questi l’utilizzo distorto della leva fiscale è il nostro
migliore alleato. L’ormai insopportabile pressione del fisco, infatti, provoca sempre più nella
percezione collettiva un indebolimento del consenso sulla funzione, sul ruolo e sull’utilità
dell’interventismo statale. Episodi quale quello del suicidio del fornaio napoletano non fanno che
suffragare questo ragionamento, il “Ricorso” è, forse, più vicino di quanto si creda.
Nessun commento:
Posta un commento