06 luglio 2008

Ma la politica estera?

Da molto tempo, certamente troppo, in Italia non si parla più di pianificare o sviluppare una politica estera capace di garantire prestigio al paese o semplicemente qualificarlo o identificarlo con essa, sbagliata o lungimirante che sia. Sappiamo, a grandi linee, che ad ogni cambio di governo, conseguente allo svolgimento di un'elezione, si verifica un avvicinamento politico ad un blocco o a politiche praticate dai paesi componenti il blocco, con progressivo scostamento dall'altro blocco “scelto”dall'amministrazione precedente, di opposto orientamento. Europa Vs Stati Uniti; Israele Vs OlP; Stati Uniti Vs Cuba o Vs Francia: la politica estera italiana, adottata dai governi che si sono alternati nel corso di questi anni, ha consistito, sostanzialmente, in questo. Una corsa a distinguersi ed a smarcarsi da chi ha avuto la responsabilità di governo in precedenza, con conseguente corsa all'accreditamento presso il nuovo mentore-paese o gruppo di paesi. Politica estera passiva, priva di ogni orgogliosa iniziativa o attitudine alla mediazione, dunque. Continuiamo a dichiararci europeisti o alternativamente filo-americani senza sviluppare una politica estera autorevole ed autonoma. Certo, sono lontani i tempi di de Gasperi e quelli di un ministro degli esteri come Carlo Sforza che, ad esempio, dichiarava, all'atto della firma del nostro Paese al trattato di adesione al Patto Atlantico, alla fine degli anni cinquanta del secolo scorso, che questo sarebbe stato per noi Italiani una scelta di campo; una scelta irreversibile che avrebbe condizionato tutto il nostro percorso futuro(“..sarà la nostra Magna Charta..”). Allora la politica estera impegnava alacremente governi e persone. Tuttavia, un paese che desidera mantenere o conquistare un profilo di autorevolezza nel consesso mondiale, non può permettersi di trascurare o esiliare in disparte la politica estera; nel corso, ad esempio, della recente campagna elettorale per le elezioni politiche, nessun candidato al governo del paese ha dibattuto il tema o soltanto avvertito la necessità di un confronto con il competitor al riguardo: non avrebbe suscitato, infatti, l'interesse di una opinione pubblica desiderosa di conoscere soltanto miracolistiche ricette taglia-tasse o percentuali di aumento dei salari. In America, invece, nel corso delle primarie per la scelta dei candidati all'ufficio di Presidente, gli sfidanti si sono misurati(e continuano a farlo)aspramente su temi di politica estera con progetti concreti e bene studiati che hanno attirato consenso o suscitato reazioni nelle audiences. E' vero, negli Stati Uniti prevale una inclinazione all'”americanizzazione” di ogni questione internazionale da cui deriva questa attenzione meticolosa agli affari extraterritoriali; però il confronto con ciò che avviene in Italia segna uno scarto non giustificabile. Il tempo delle nostre formule dell' ”equidistanza”, dell'”equivicinanza”, della “prossimità agli Stati Uniti rimanendo nell'Europa”deve lasciare il posto a politiche concrete ed affidabili che si attivino, anche unilateralmente, senza la necessità di seguire gli altri-grandi; Darfur e Zimbabwe potrebbero, in proposito, segnare una ripresa della nostra politica di attenzione ed aiuto all'Africa. La politica estera non significa enunciazioni di circostanza o genuflessioni alle istanze degli altri; o meglio, può anche significare questo; poi, però, non possiamo meravigliarci se in Europa vengono istituiti direttori esclusivi(nei nostri confronti!), se i nostri Presidenti del Consiglio non vengono invitati ufficialmente in America, nel corso di due anni di governo, se il Presidente Usa sbarchi in Italia promettendo il nostro repentino ingresso nel cosiddetto 5+1, attivato riguardo la questione Iran, ritornando sui suoi propositi dopo un colloquio con il cancelliere tedesco Merkel e senza nemmeno renderci spiegazioni !
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A proposito di Roma... Programmare una politica estera autorevole significa anche avere a cuore l'immagine ed il buon nome dell'Italia nel mondo, in particolare della sua Capitale: ebbene, come deve essere giudicato, allora, lo scambio di accuse intercorso tra nuovo e trascorso sindaco di Roma riguardo deficit presunti o acclarati nelle casse cittadine, compendiato nelle titolistica internazionale con frasi tipo “Roma, buchi e buche”? Possono coesistere “Ambasciatore dell'italianità e dello stile del nostro paese nel mondo” e persone che, quotidianamente, questo stile lo offuscano e ridicolizzano con atteggiamenti autolesionistici ed ingiustificati?

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