15 novembre 2012

Il Direttore di Società Libera interviene sul Corriere della Sera

In questo post sono proposti due interventi di Vincenzo Olita, Direttore di Società Libera, sul Corriere della Sera. Negli articoli proposti Vincenzo Olita riflette sul significato autentico del termine "Liberale" e sul contributo che i veri Liberali sanno offrire ad una Società confusa ed indifferente a temi invece nodali, come la tutela dei diritti dei più deboli o il contrasto alla criminalità  attraverso piani strutturali, che prevedano oltre alla riscrittura delle regole anche l'esecuzione di misure volte a facilitare lo sviluppo economico dei territori.


«No ai falsi liberali Quelli autentici cambino l'Italia»
La marcia La marcia per la libertà delle minoranze? Essere liberali significa dare un contributo

«Ma i liberali marciano? Sì, quelli veri lo fanno». Vincenzo Olita, 63 anni, sociologo e direttore di «Società libera», marzullianamente s'interroga e si risponde sul pregiudizio intorno a uno dei compiti principali dell'associazione apartitica di cultura politica che guida da un decennio: la difesa dei diritti umani. Sabato 13 ottobre, alle 15 ? in contemporanea con Barcellona, Berlino, Parigi e Bruxelles ? si terrà a Roma (da piazza Bocca della Verità al Colosseo) la marcia internazionale per la libertà delle minoranze e dei popoli oppressi (tutte le informazioni su www.societalibera.org). Olita, che la organizza da cinque anni, è entusiasta del successo che l'iniziativa riscuote all'estero ? «Una partecipazione straordinaria e commovente» ? mentre è costretto a cercare una spiegazione dell'indifferenza italiana: «C'è una grande insensibilità nel nostro Paese. Il problema è culturale e istituzionale. I nostri intellettuali difficilmente si appassionano al tema e si tengono ben lontani dall'impegno: professano un liberalismo teorico, chiacchierato e mai praticato, scrivono i libri e se li presentano tra loro, discutono di massimi sistemi, si schierano con questo o quel partito ma le mani non se le sporcano mai. Essere liberali vuol dire dare un contributo: l'unica militanza è l'impegno, l'esempio, la denuncia, l'azione. Come fanno a dichiararsi liberali se si occupano solo di fatti domestici? E la primavera araba? E i monaci tibetani? E il popolo Karen massacrato dal governo di Rangoon? Il liberalismo non è un'ideologia ma una visione del mondo e della vita con al centro la persona, la libertà e la responsabilità individuale. Bisogna praticare un'eterna vigilanza verso il potere costituito e verso ciò che di ingiusto accade nel mondo». Anche la politica e i media, qui, hanno molte responsabilità: «Il compito di un vero liberale non è denunciare le cose dopo, quello purtroppo è diventato il compito dei nostri politici e di certa stampa. Tranne i Radicali, nessuno da noi si batte per i diritti umani delle minoranze lontane. Bonariamente ci rimproverano l'estraneità del termine "marcia" al vocabolario liberale... Allora capisco perché il liberalismo è estremamente minoritario in Italia: se ne stanno tutti con le mani in mano». La «proposta liberale» di rivoluzionare la classe dirigente avanzata da «Italia Futura» e «Fermare il declino» ? Montezemolo e Giannino ? non lo appassiona neanche un po': «Sono operazioni elettorali, è tutto un agitarsi alla ricerca di spazi. No, grazie: ci è già bastata l'esperienza di un imprenditore con i suoi conflitti d'interesse, non abbiamo certo bisogno di riedizioni. Il fatto è che definirsi liberali non fa male a nessuno: è una qualifica che in questa Babele generale usano un po' tutti. E invece io sono convinto che essere davvero liberali, oggi, non significhi cercarsi un angolino politico ma ragionare sul presente ? capire la realtà, anche con una marcia silenziosa ? per riuscire finalmente a cambiare il futuro del Paese».

 
  Nuove regole per contrastare le mafie
Più Stato o meno Stato è una contrapposizione ricorrente nel dibattito di politica economica, non lo è altrettanto nelle riflessioni e nell'elaborazione di strategie sul contrasto al crimine organizzato. Su questa premessa «Società Libera», Associazione di cultura liberale, vuole dare il suo contributo di idee per ripensare il ruolo dello Stato e le prospettive del contrasto alla criminalità. Su questo terreno riteniamo che abbia ragione Giuseppe Pisanu che, in veste di presidente della Commissione bicamerale Antimafia, nella sua relazione evidenzia: «Fino ad oggi l'antimafia delle leggi e della magistratura ha vinto molte battaglie, anche a prezzo di enormi sacrifici, ma non ha vinto la guerra». Come in ogni guerra che si vuole vincere crediamo che occorra aprire più fronti. Dando per acquisito quello repressivo, è indispensabile operare sul versante del potenziamento della cultura della legalità e su quello dello sviluppo economico. Queste sono le tre leve su cui fare perno e che vanno utilizzate con coerente sincronismo e intelligente flessibilità in un quadro strategico, dove ruolo e presenza dello Stato trovino un giusto punto di equilibrio. Già, lo Stato, troppo o poco? Nel primo caso ha contribuito al crescere delle organizzazioni criminali attraverso la spesa pubblica, l'abnorme sviluppo degli apparati burocratici, la complessa macchinosità della regolazione normativa e, non ultimi, gli interventi straordinari. Basta ricordare che a seguito del terremoto in Campania e Basilicata del 1980 e la successiva ricostruzione si è avuta l'espansione territoriale in ambedue le Regioni del fenomeno camorra. Al contrario, per troppo tempo lo Stato è stato sostanzialmente lontano e assente nel Mezzogiorno, condizione degenerata tanto da perdere, in alcune aree, il controllo del territorio. I ritardi e l'inefficacia della giustizia civile hanno poi consentito alle organizzazioni, dove presenti capillarmente, di svolgere funzioni di supplenza e mediazione. Se la criminalità pretende di rappresentare l'anti Stato, lo Stato ha il dovere-necessità di essere credibile in tutte le sue articolazioni. E qui il pensiero corre alla recente approvazione al Senato del disegno di legge anticorruzione. Dare delega al governo per predisporre una legge sui condannati incandidabili è stato un pessimo segnale offerto dalla classe politica sulla propria credibilità e, di conseguenza, sulla necessaria implementazione della cultura della legalità. Un deciso arretramento sul terreno tanto sensibile e vulnerabile della credibilità e dell'esempio. La cultura della legalità potrà affermarsi se si arriverà alla convinzione, comune e condivisa a livello di massa, che appartenere ad organizzazioni criminali, esserne affiliati o solo conniventi non è conveniente né sul piano sociale e dell'immagine personale, né su quello economico. La pervasività delle organizzazioni è indicativa e misurabile, in molte aree del Mezzogiorno, dalla loro capacità di essere anti Stato e nel contempo Stato sociale. Dove il controllo del territorio è più stretto e capillare le mafie svolgono anche ruolo di compensazione economica e di regolazione della quotidianità della gente. Se questi aspetti non vengono compresi nella loro complessità sarà difficile approntare una strategia complessiva di contrasto; se il fenomeno mafie non diventerà una questione di interesse nazionale e lo relegheremo a comportamento malavitoso, correlato a territori tradizionali, difficilmente saremo in grado di mettere in atto strategie vincenti. Si è già constatato la pochezza e spesso i danni degli interventi straordinari. Contrastare le mafie significa, per il Mezzogiorno, fornirsi di un lungimirante piano complessivo di sviluppo economico che assecondi e accompagni la naturale vocazione del territorio. Il Paese tutto ha bisogno di uno scatto etico, di una cruda e reale presa di coscienza. La lotta alla criminalità passa attraverso una riscrittura delle regole politiche-amministrative, incluse quelle fiscali, tale da rendere lo Stato non altro rispetto ai cittadini. Utopia? Forse. Ma questo è il ruolo che ci siamo ritagliati: dar voce ad una vigorosa ed efficace cultura del contrasto, che miri fondamentalmente alla prevenzione e quindi alla riduzione delle condizioni favorevoli al perpetuarsi di un retroterra culturale tanto funzionale al crimine organizzato. Come liberali, crediamo di dare così un contributo alla realizzazione di una società più aperta e più libera.

Fonte da cui sono tratti gli articoli: Corriere della Sera

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