20 gennaio 2010

Si discetta di liberalismo sul Corriere!

Nelle scorse settimane, sul Corriere della Sera, si è parlato della necessità di una rivoluzione liberale per le riforme in Italia. In particolare, all’analisi di Marcello Pera contenuta in un articolo del giornale, hanno fatto seguito gli interventi di diverse altre personalità, che hanno parlato della realizzazione (o del fallimento, a seconda dei diversi giudizi) della rivoluzione liberale intrapresa dallo schieramento di centrodestra già a partire dal ’94.
Aveva scritto Pera: “Silvio Berlusconi e Forza Italia, nel ’93-’94, si alzarono per fare una rivoluzione liberale a maggioranza. Ne avevano il diritto,perché la promisero ed ebbero più volte il consenso per farla. Ma per una ragione o per l’altra, la rivoluzione non c’è stata”.
Si chiede, a chi fu a fianco di Silvio Berlusconi nella fondazione di Forza Italia, di spiegare le motivazioni per le quali tale rivoluzione non avvenne; comincia Piero Melograni, ex Senatore, politologo e professore presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Perugia: “La rivoluzione liberale non ci fu, perché in Italia non esistono le masse liberali. Ci eravamo illusi che ci fossero, invece. Lo dico anche per liberarmi di una colpa”. Prosegue: “i liberali non c’erano nemmeno in Forza Italia. La rivoluzione liberale purtroppo si risolse in un grande inganno..”. Continua su altre posizioni Giuliano Urbani, ex parlamentare e braccio destro di Silvio Berlusconi già ai tempi della fondazione di forza Italia: “L’avvento di Berlusconi e di Forza Italia, con tutta la sua esplosione di rinnovamento, ha già regalato all’Italia una impensata rivoluzione “liberante” e, perciò, liberale. Liberandoci dai vecchi partiti storici, togliendo per sempre il bavaglio a quella maggioranza silenziosa che è diventata oggi tanto loquace da scegliersi direttamente i propri governanti. Un autentico rivolgimento storico. Occorre fare di più, ma sia ben chiaro: per avere un paese e delle Istituzioni pubbliche più liberali, non basta chiederlo solo a Berlusconi, ma anche a insegnanti, giornalisti, imprenditori, magistrati, bancari, molto più liberali di quanto non offra oggi il convento. Ma siamo sicuri che il liberalismo di oggi, non aggiornato storicamente da un nuovo Constant o da un nuovo Tocqueville, sia nelle migliori condizioni per impartire lezioni al buon funzionamento delle attuali democrazie di massa? Io ne dubito”. Interviene anche Paolo Del Debbio, editorialista, scrittore ed aderente fra i primi a Forza Italia: “Penso che se Tremonti riuscisse a varare la riforma fiscale complessiva, si potrebbe iniziare a parlare di riforma liberale”. Cita poi Einaudi: “Non può esserci autentica libertà politica, senza prima un vero liberismo economico”. Secondo Del Debbio la vera rivoluzione liberale consisterà “nell’abbassare le tasse”, finora non abbassate “perché il debito pubblico è troppo alto”. Salvatore Carrubba, ex Assessore alla cultura del Comune di Milano, editorialista del Il sole 24 Ore e Presidente di Società Libera conclude: “Non c’è stata la rivoluzione liberale perché in Italia esiste una cultura diffusa sfavorevole alla tradizione liberale. Colpa di corporazioni, interessi organizzati, clan, ordini professionali. Sembrava che Berlusconi potesse farcela, ma gli interessi nei partiti che aveva dietro, incluso Forza Italia, erano fortissimi. Molti liberali che condivisero quell’esperienza sono ora isolati e delusi. Termina, Carrubba, formulando un invito rivolto alle nuove generazioni: “Confido in loro, perché viaggiano e confrontano l’Italia così sclerotizzata, con il resto del mondo. Spero che cambino tutto”.
Il confronto sul liberalismo deriva, come detto, anche dall’analisi che Marcello Pera faceva della Bozza Violante (Riduzione dei Parlamentari, nuovi poteri al premier, Senato federale…) sul Corriere. In questo confronto si fa riferimento al caso specifico di un determinato partito politico, si prendono in considerazione solo alcuni contributi, ma ci fa comunque piacere l'interesse e l'attenzione che è riuscito ad alimentare. Ciò che desideriamo è che non resti semplicemente un episodio culturale.

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