Atti devianti e spesso criminali compiuti da immigrati di varie etnie, nel nostro Paese, colpiscono l’opinione pubblica che, frastornata, discute e si divide sul modo di affrontare una situazione emergenziale e sempre più complessa.
La difficile convivenza tra autoctoni e allogeni segna il limite nelle grandi città per la massiccia presenza di questi ultimi e per un loro modo di comportarsi non sempre improntato a correttezza e rettitudine.
L’opinione pubblica manifesta un forte disagio che viene recepito dagli amministratori pubblici solo a seguito di eventi efferati; solo allora sono decisi i provvedimenti dettati comunque da emergenzialità ed occasionalità. Insoddisfacenti, quindi, ed incapaci di affrontare una situazione assai segmentata in cui gli immigrati sono considerati ora “utili invasori”, ora veri e propri diversi, non integrabili. Ovviamente lontani da noi, non per differenza biologica, ma per distinzione culturale: perché provenienti cioè da società con tradizioni ed abitudini per niente affini alle nostre.
Inutile nascondere che si dovrebbero attivare politiche finalizzate alla regolamentazione di ingressi, uscite e permanenza degli immigrati nel nostro Paese, anche attraverso percorsi di inserimento lavorativo, politiche per la casa (capaci di non ingenerare, però, conflitti con le componenti più deboli della nostra società: una sorta di guerra tra disperati!).
Tutto questo va fatto ed in fretta!Non possiamo opporre “fortezze chiuse” verso tutti gli altri in tempi di mondializzazione!Ciò che deve essere combattuta è la marginalità in cui si avvitano gruppi di immigrati: questo costituisce la logica premessa alla violenza da essi spesso praticata.Debbono tutti avere la possibilità di inserirsi nel contesto sociale italiano senza che sia loro concessa occasione per isolarsi ed escludersi.Il professor Giavazzi racconta nel suo libro “Lobby d’Italia” di come, osservando i giardini di via Palestro a Milano, abbia maturato l’idea di responsabilizzare le decine di immigrati lì presenti fornendo loro incentivi in moneta affinché potessero, in cambio, tenere almeno i giardini puliti: 50 euro erogati ogni sera dai poliziotti ad un delegato del gruppo. Incentivi ancora primi dei divieti.Nella dimensione locale una cosa utile i sindaci (non sceriffi!) potrebbero innanzitutto farla: assumere negli organici della polizia municipale persone immigrate affidabili ed istruite; queste potrebbero interagire coi gruppi da cui essi stessi provengono, mediare, farsi portatori di loro istanze, essere però soggetti ad una turnazione di zone e competenze al fine di disincentivare comportamenti collusivi.Sarebbe solo un primo passo, peraltro praticato da decenni e con successo in altri Paesi, ma sarebbe assai più credibile e realizzabile rispetto a politiche repressive che prevedono solo indiscriminate espulsioni di massa.
La difficile convivenza tra autoctoni e allogeni segna il limite nelle grandi città per la massiccia presenza di questi ultimi e per un loro modo di comportarsi non sempre improntato a correttezza e rettitudine.
L’opinione pubblica manifesta un forte disagio che viene recepito dagli amministratori pubblici solo a seguito di eventi efferati; solo allora sono decisi i provvedimenti dettati comunque da emergenzialità ed occasionalità. Insoddisfacenti, quindi, ed incapaci di affrontare una situazione assai segmentata in cui gli immigrati sono considerati ora “utili invasori”, ora veri e propri diversi, non integrabili. Ovviamente lontani da noi, non per differenza biologica, ma per distinzione culturale: perché provenienti cioè da società con tradizioni ed abitudini per niente affini alle nostre.
Inutile nascondere che si dovrebbero attivare politiche finalizzate alla regolamentazione di ingressi, uscite e permanenza degli immigrati nel nostro Paese, anche attraverso percorsi di inserimento lavorativo, politiche per la casa (capaci di non ingenerare, però, conflitti con le componenti più deboli della nostra società: una sorta di guerra tra disperati!).
Tutto questo va fatto ed in fretta!Non possiamo opporre “fortezze chiuse” verso tutti gli altri in tempi di mondializzazione!Ciò che deve essere combattuta è la marginalità in cui si avvitano gruppi di immigrati: questo costituisce la logica premessa alla violenza da essi spesso praticata.Debbono tutti avere la possibilità di inserirsi nel contesto sociale italiano senza che sia loro concessa occasione per isolarsi ed escludersi.Il professor Giavazzi racconta nel suo libro “Lobby d’Italia” di come, osservando i giardini di via Palestro a Milano, abbia maturato l’idea di responsabilizzare le decine di immigrati lì presenti fornendo loro incentivi in moneta affinché potessero, in cambio, tenere almeno i giardini puliti: 50 euro erogati ogni sera dai poliziotti ad un delegato del gruppo. Incentivi ancora primi dei divieti.Nella dimensione locale una cosa utile i sindaci (non sceriffi!) potrebbero innanzitutto farla: assumere negli organici della polizia municipale persone immigrate affidabili ed istruite; queste potrebbero interagire coi gruppi da cui essi stessi provengono, mediare, farsi portatori di loro istanze, essere però soggetti ad una turnazione di zone e competenze al fine di disincentivare comportamenti collusivi.Sarebbe solo un primo passo, peraltro praticato da decenni e con successo in altri Paesi, ma sarebbe assai più credibile e realizzabile rispetto a politiche repressive che prevedono solo indiscriminate espulsioni di massa.
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